Uscito sul Fatto di giovedì 9 aprile ha suscitato la risentita risposta di Riccardo Bonacina, di Vita. La si può trovare qui. In effetti parliamo di un settore che rappresenta un investimento significativo nella strategia di Matteo Renzi. Con alcune protagoniste atipiche come Giovanna Melandri e Letizia Moratti.
La Camera ha approvato la legge delega che riforma il Terzo settore. Con 297 voti a favore (la maggioranza), 121 contrari (M5S, Sel e Lega nord) e 50 astenuti (Forza Italia), il testo passa ora al Senato. La legge va oltre l’apparente normalità della sua definizione e rappresenta interessi rilevanti nella strategia politica del “renzismo”.
La legge delega, che come tale avrà bisogno di decreti attuativi, ha il perno decisivo nell’articolo 6 che regola le nuove norme per “l’impresa sociale” con il rischio, come hanno sottolineato gli interventi contrari del M5S e di Sel, di appaltare settori di welfare, in particolare la sanità, al mercato privato. L’articolo 6, infatti, prevede “forme di remunerazione del capitale sociale e di ripartizione degli utili, da assoggettare a condizioni e limiti massimi”. Consente, poi, alle imprese private e alle amministrazioni pubbliche “di assumere cariche sociali negli organi di amministrazione delle imprese sociali” e stabilisce che “le cooperative sociali e i loro consorzi acquisiscono di diritto la qualifica di impresa sociale”. “Con questa legge, ha detto Giulio Marcon di Sel, “non difendete i diritti ma i mercati sociali delle imprese”.
La torta è di circa 175 miliardi, corrispondenti alla spesa sociale non coperta da assistenza pubblica che potrebbe essere drenata, nel giro di otto anni, dalle nuove “imprese sociali”. E il mondo di riferimento, assai vasto, è composto da oltre 11 mila cooperative sociali, da oltre 22 mila enti non profit e da oltre 88 mila enti profit che operano già nel comparto. I settori di interesse sono i servizi socio-assistenziali, quelli della formazione e dell’assistenza. La supervisione, infine, è garantita al ministero del Lavoro, diretto da Giuliano Poletti che delle cooperative è stato presidente.
Come ha fatto notare nel suo intervento di voto contrario in aula la deputata dei 5Stelle, Giulia Grillo, per capire la sostanza dell’operazione occorre fare un passo indietro rispetto alla legge e andare a consultare un documento ricco di dati (tra cui quelli appena citati): il Rapporto italiano della Social Impact Investment Task Force istituita nell’ambito del G8 e presieduta in Italia dall’ex ministra (e attualmente presidente della fondazione Maxxi, il museo delle arti di Roma), Giovanna Melandri. Melandri è anche presidente di un’altra fondazione, la Human Foundation, creata “per sostenere l’impresa sociale migliore”. Molti dei suoi soci, partner e “ambassador” sono importanti centri economici come Unicredit, Banca Prossima di Intesa SanPaolo (cui si era rivolta la Coop 29 giugno per raccogliere fondi tramite la piattaforma online), fondazione Cariplo, Deutsche Bank, Ubi Banca. Molti di loro li ritroviamo nel board italiano della Task Force istituita per consigliare i governi del G8 e quindi con caratteristiche pubbliche. Nella stessa ci sono esponenti che esaltano pubblicamente l’impresa sociale come Andrea Rapaccini di Make a Change, struttura no profit dove tra i soci figurano colossi come la Gdf Suez Energie, la fondazione Cariplo o la Reale Mutua assicurazioni, il gruppo Vita, Letizia Moratti, presidente di San Patrignano, la Legacoopsociali, la Federcasse, l’associazione di Fondazioni e casse di di risparmio (Acri) oltre all’Associazione delle assicurazioni (Ania), delle banche (Abi) e alla stessa Confindustria.
Si ritrova anche il nome di Vincenzo Manes, da poco consulente “sociale” del governo Renzi e presidente della fondazione Dynamo, anch’essa impegnata nel “business sociale” e che è stato indicato, sempre dalla deputata Giulia Grillo come uno dei possibili estensori materiali, insieme al sottosegretario Luigi Bobba, ex presidente Acli, della legge delega.
La Task Force di Melandri ha redatto un documento di 88 pagine in cui si evidenzia il giro di affari possibile rappresentato dai 175 miliardi di spesa sociale che potrebbe essere coperta con uno Stato sociale “innovato radicalmente senza aggrapparsi a posizioni di rendita”. Il testo definisce “cruciale” il ruolo delle cooperative sociali ma anche di associazioni e fondazioni (e abbiamo visto che proprie queste non mancano in questa storia). Il ruolo delle cooperative sociali è costante. La dichiarazione per il Pd, ieri, è stata fatta da Micaela Campana che nell’inchiesta sulla 29 giugno era stata citata per i suoi sms a Salvatore Buzzi – “grande capo”. L’ironia delle citazioni fa si che nell’introduzione di Giovanna Melandri si possa leggere: “Siamo alla ricerca di una terra di mezzo dove la struttura giuridica dell’impresa sociale tra profit e non profit è molto importante per la dimensione e la ‘scalabilità”. Il “mondo di mezzo” di Massimo Carminati non c’entra nulla ma l’analogia è divertente.
In ogni caso, la Task Force immagina nuovi capitali che possono affluire nel settore con i “social bond” o l’impiego della Cassa depositi e prestiti. E indica un riferimento ideologico molto preciso, quella Big Society di stampo inglese che si propone di integrare il libero mercato con le attività sociali e di volontariato. Precondizione di tutto, però, dice il documento redatto nel 2014, è “cambiare lo status giuridico” delle imprese sociali per una definizione “più ampia rispetto agli attuali confini”. Esattamente quello che ha fatto la Camera.
Terzo Settore e impresa sociale, l’affondo di Renzi sul welfare
11 sabato Apr 2015
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