A sprofondare sotto il peso della propaganda Expo e le vetrine spaccate alla fine è stato il 1° Maggio. Nonostante il tradizionale sforzo dei sindacati, il concerto di piazza San Giovanni, le manifestazioni, le vertenze operaie aperte, il discorso del presidente Mattarella, l’attenzione per la “festa dei lavoratori” si è sbriciolata al ritmo dei lacrimogeni sparati e delle parole modificate all’Inno di Mameli.
Sono i paradossi della storia. Non era stato Matteo Renzi a decidere che l’Expo dovesse cominciare il 1° Maggio ma quelli che oggi gli si oppongono, Romano Prodi, capo del governo che candidò l’Italia, Enrico Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Quella scelta, ora, è stata ampiamente utilizzata da Renzi per trasfigurare il significato della festa piegato a un pensiero ben riassunto dal tweet di Maria Elena Boschi: “Il 1 maggio e l’Expo raccontano l’Italia che lavora”. Come bere un bicchier d’acqua.
Tra i bambini delle voci bianche e un ulteriore appello contro “i gufi”, è scomparsa la manifestazione sindacale di Cgil, Cisl e Uil a Pozzallo, in Sicilia, in nome del “lavoro e della solidarietà”. Di fronte ai lacrimogeni e ai fumogeni sono sfumate le immagini del concertone di San Giovanni (per non parlare del concerto di Taranto). Davanti al sempiterno Giorgio Napolitano, ospite d’onore di Expo, sono rimaste sullo sfondo le parole del presidente in carica, Sergio Mattarella, che in un breve discorso è riuscito a “confidare” nel dialogo con i sindacati, a criticare la Garanzia Giovani, a ricordare quello che non ricorda mai nessuno, i morti sul lavoro e a riaprire la nuova “questione meridionale”. Temi da Primo Maggio, insomma, e poco governativi, di quelli che annoiano il nuovo che avanza. E che non sono riassumibili in un tweet.